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"L'apoteosi della danza": Wagner apostolo di Beethoven

Pubblicato il 20/12/2020


Il 17 gennaio 1828 la Sala del Gewandhaus di Lipsia era gremita del pubblico accorso per ascoltare la Settima sinfonia di Ludwig van Beethoven, morto l’anno precedente. Fra il pubblico vi era il giovane Richard Wagner, appena quindicenne, che ne riportò un’impressione formidabile. Come ricorda nella sua voluminosa autobiografia, nei giorni successivi addirittura gli apparirà in sogno l’effige del genio di Bonn, confusa con quella del grande Shakespeare: “li vedevo, parlavo con loro; al risveglio mi ritrovavo in lacrime”.

Nella coscienza dell’adolescente ecco stagliarsi già i due pilastri che segneranno il suo intero periplo artistico: la musica ed il teatro. Interessante notare come anche Hector Berlioz nei Mémoires racconti del proprio incontro folgorante con Beethoven accostandolo a quello con il drammaturgo inglese:

L’impressione è stata grande quasi quanto quella di Shakespeare. Beethoven mi ha aperto un nuovo mondo di musica, come Shakespeare mi aveva rivelato un nuovo universo di poesia.


L’impressione è stata grande quasi quanto quella di Shakespeare. Beethoven mi ha aperto un nuovo mondo di musica, come Shakespeare mi aveva rivelato un nuovo universo di poesia.


Nella novella del 1840 Una visita a Beethoven la memoria dell’incontro sarà ancora più intensa, ancorché non sia specificata la Sinfonia causa di tanto sconvolgimento:

“solo ricordo che una sera intesi per la prima volta una sinfonia di Beethoven, che in seguito a ciò fui preso dalla febbre, che caddi malato e che, quando fui nuovamente guarito, ero diventato musicista. Ed a questa circostanza si deve forse che, se anche col tempo imparai a conoscere altra musica bella, pure ho sempre amato, venerato, adorato Beethoven sopra ogni altra cosa al mondo”. 


Ne L’opera d’arte dell’avvenire del 1849 Wagner scriverà che la Sinfonia in La maggiore di Beethoven è: 

L’apoteosi della danza: è la danza nella sua suprema essenza, la più beata attuazione del movimento del corpo quasi idealmente concentrato nei suoni. Beethoven nelle sue opere ha portato nella musica il corpo, attuando la fusione tra corpo e mente.


Particolarmente affascinato era stato Wagner negli stessi anni di gioventù a Lipsia anche dalle musiche dell’Egmont, che si proponeva in cuor suo di emulare per accompagnare il testo della propria tragedia Leubald und Adelaide finita nel 1828. Ancora avvolto nell’incertezza è un altro evento che avrebbe sconvolto e ispirato l’universo artistico del sedicenne Wagner: la rappresentazione deFidelio con la grande cantante Wilhelmine Schröder-Devrient.

Particolarmente affascinato era stato Wagner negli stessi anni di gioventù a Lipsia anche dalle musiche dell’Egmont, che si proponeva in cuor suo di emulare per accompagnare il testo della propria tragedia Leubald und Adelaide finita nel 1828. Ancora avvolto nell’incertezza è un altro evento che avrebbe sconvolto e ispirato l’universo artistico del sedicenne Wagner: la rappresentazione del Fidelio con la grande cantante Wilhelmine Schröder-Devrient.

Se non è certo che fu proprio in quel ruolo che il giovane Richard poté ascoltare la celeberrima cantante, nella propria coscienza d’artista solo le doti canore e attoriali straordinarie della primadonna potevano rendere ragione anche del genio drammaturgico, accanto a quello sinfonico, di Beethoven. Nei tre amari anni vissuti da Wagner a Parigi, tra l’autunno del 1839 e la primavera del 1842, unica vera luce fu per il musicista l’opportunità di assistere alle prove della Nona sinfonia di Beethoven condotte da François-Antoine Habeneck con l’orchestra del Conservatoire di Parigi, una esecuzione che per il musicista tedesco rimase un modello insuperato, capace di ridonargli la fiducia in una partitura tanto adorata ma che esecuzioni inadeguate avevano offuscata.


Perché tale affermazione possa essere colta nel suo pieno significato va ricordato che nell’imponente saggio che la contiene la musica viene interpretata quale elemento mediatore tra il corpo e la parola, il mare che bagna e lambisce le due rive della danza e della poesia.

Dopo l’ascolto della Settima sinfonia nel 1828, l’incontro con la Nona confermerà la conversione. Nella nota lettera del 6 ottobre 1830 all’editore Schott, con cui offriva per la pubblicazione la propria trascrizione della Nona sinfonia per pianoforte a due mani, Wagner scrisse di aver studiato a lungo e intensamente “la splendida ultima sinfonia di Beethoven”.

Oltre all’arrangiamento per pianoforte, aveva fatto una copia dell’intera partitura:

Fui subito colpito, come per forza del destino, dalle lunghe e durature quinte perfette con cui iniziava il primo movimento. Questa sinfonia racchiudeva sicuramente il segreto di tutti i segreti; e così mi sono dato da fare copiando accuratamente la partitura.

Fui subito colpito, come per forza del destino, dalle lunghe e durature quinte perfette con cui iniziava il primo movimento. Questa sinfonia racchiudeva sicuramente il segreto di tutti i segreti; e così mi sono dato da fare copiando accuratamente la partitura.



Marco Brighenti

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