Questa fu l’impressione di Ernst T. A. Hoffmann al primo ascolto dell’Allegro: gli archi tengono la stessa nota per quindici battute, il timpano è l’unico strumento che tiene il movimento ritmico e dopo un lungo episodio di transizione arriva la sintesi conclusiva. Anche in quest’ultima parte della Sinfonia Beethoven inserisce una novità: il trombone, lo strumento associato all’al di là e alle tenebre, qui utilizzato per sottolineare l’enfasi della fanfara, insieme all’ottavino e al controfagotto che raddoppiano i bassi. Il risultato è un finale brillante, “accecante”, risolutore e risolutivo: il momento di catarsi trionfale che forse ci si aspettava fin dall’inizio. La vittoria dell’intelletto e della ragione, la risoluzione di tutti i conflitti.
Dall’anno della prima rappresentazione al Theater an der Wien ad oggi, la Quinta sinfonia si è impressa nell’immaginario collettivo. Non solo grazie alle novità introdotte da Beethoven nella scrittura sinfonica, ma forse e soprattutto grazie alla sua capacità di ricreare un percorso emotivo capace di smuovere l’animo dell’uditore che il 22 dicembre del 1808 si recò al teatro viennese per ascoltare un interminabile concerto (insieme alla Quinta sinfonia furono eseguite la Sinfonia n. 6, la Fantasia per pianoforte, coro e orchestra op. 80, il Concerto per pianoforte e orchestra in Sol minore e alcuni brani dalla Messa in Do maggiore op. 86) e capace di parlare al pubblico di oggi, gli ascoltatori del 2022, che siede in una sala da concerto per ascoltare uno dei capolavori più riusciti della storia della musica. A tal proposito, Paul Bekker, uno dei più importanti musicologi di inizio Novecento, mette in luce come non si debba cercare l’elemento di rottura del sinfonismo beethoveniano nell’invenzione di un nuovo modello sinfonico, bensì in quella di un nuovo pubblico, non del qui ed ora ma universale: