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Ildebrando Pizzetti, un autore tutto da scoprire!

Pubblicato il 02/02/2022

Il nome di Pizzetti compare insieme a quelli di Renzo Bossi, Gian Francesco Malipiero, Ottorino Respighi e Giannotto Bastianelli (Alfredo Casella era da anni a Parigi, ma due anni dopo avrebbe fatto da caloroso anfitrione al gruppo in trasferta francese) nel battagliero proclama. Per un nuovo risorgimento musicale del 1911, sorta di manifesto della nuova generazione modernista. 
Fra i compositori della sua generazione fu quello che ebbe una carriera più precoce e di successo: collaboratore giovanissimo e sconosciuto del Vate che lo battezzò “Ildebrando da Parma”, stimato dal concittadino Toscanini, vide i suoi due primi drammi musicali (Fedra e Debora e Jaele) eseguiti con grande risonanza alla Scala.
Mentre Casella, ancora a Parigi, passava dagli echi tastieristici di Fauré alla fascinazione mahleriana, mentre Malipiero cercava di smaltire gli infelici soggiorni austro-tedeschi, Pizzetti appena ventenne aveva raggiunto una stupefacente maturità stilistica e un armamentario tecnico aggiornato ai più avanzati linguaggi europei.

E così ancora più singolare appare la parabola del parmigiano, principiata tra le smorfie di chi lo pensava un rivoluzionario e conclusa tra gli sbuffi di chi lo considerava un noioso codino: in entrambi i casi senza che ne venisse apprezzata a dovere la scelta di una superiore salubrità e castità del linguaggio musicale. 

© Immagine creata in occasione del 50° anniversario della morte
Nato nella Parma d’oltretorrente, figlio della piccola borghesia provinciale emiliana (il padre Odoardo era un insegnante di pianoforte) il giovane Ildebrando, giovane studioso e introverso, ebbe la fortuna di studiare al Conservatorio locale con Giavanni Tebaldini, che gli fece conoscere il gregoriano e la musica antica, patrimonio inesplorato nel paese del melodramma verdiano e poi verista. L’incontro con l’antica modalità greca e gregoriana permise al giovane di formarsi da subito un linguaggio estremamente personale, assonante con l’esplorazione della modalità che oltralpe sperimentava Debussy.
Fin da subito fu riconosciuto dalla critica come il più avanzato tra i compositori della Penisola: l’occasione fu il battesimo pubblico nel 1908 officiato da Gabriele D’Annunzio, la cui composizione dei Cori de La nave aveva portato alla ribalta il giovane provinciale.
Il trasferimento a Firenze quale docente di armonia al Conservatorio gli permise di accostarsi all’intellettualità più avanzata che militava attorno alle riviste Il Leonardo e La Voce (con Prezzolini, Papini, De Robertis, ecc…). 
Dopo i successi di Fedra e Debora e Jaele (quest’ultima portata a battesimo da Toscanini), Pizzetti si affermò principalmente quale autore di drammi musicali. Tra le sue pagine strumentali i Canti della stagione alta costituiscono certo uno dei momenti più importanti della sua produzione, in cui l’austero linguaggio pizzettiano si stempera in favore di un maggiore lirismo, anche se certo la melodia rimane sempre casta e modaleggiante, come nella migliore sua produzione, e l’orchestrazione, pur ricca, rifugge da ogni sfarzo esteriore.

Marco Brighenti

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