Orchestra Sinfonica di Milano - Articoli

Stabat Mater di Rossini: intervista a Daniele Carnini

Pubblicato il 25/03/2025

In occasione dell’esecuzione dello Stabat Mater di Rossini, all’Auditorium di Milano il 15 e 17 aprile, sul podio Emmanuel Tjeknavorian, abbiamo intervistato Daniele Carnini, direttore editoriale della Fondazione Rossini e musicologo che al compositore ha dedicato grandi sforzi nelle sue ricerche. L’occasione è preziosa per indagare e comprendere uno straordinario capolavoro dell’Ottocento.





in alto
: la parete ovest dell'Aula dei Legisti (oggi Sala Stabat Mater) del Palazzo dell’Archiginnasio a Bologna, dove avvenne la prima esecuzione italiana dello Stabat Mater  il 18 marzo 1842 

a sinistra: il dettaglio delle lapidi commemorative dell'evento

Come si posiziona lo Stabat Mater nella produzione di Rossini? E come si inserisce l’opera nella cosiddetta rinuncia alla carriera?
Rossini ha scritto musica sacra per tutta la vita, sin dagli inizi della sua carriera; era qualcosa di assolutamente normale per un compositore. In realtà, nella vita di Rossini non c’è stata alcuna rinuncia alla carriera. C’è stata una concomitanza di eventi: la durata della carriera di un compositore d’opera, che durava in genere poco più di un ventennio in quanto logorante, e i rapporti con lo stato francese. Dal 1824 Rossini è in Francia: il suo contratto col governo francese cambia negli anni con varie mansioni (direttore del Teatro italiano, ispettore generale del canto), finché mentre compone (1829) Guillaume Tell riesce ad ottenere anche una cospicua pensione e un’esclusiva che lo impegna a scrivere 5 opere in 10 anni per il solo teatro francese. A questo punto, però, si inserisce anche la Rivoluzione del 1830 a rovinare i piani: la pensione viene revocata costringendo Rossini a una lunga azione giudiziaria che si concluderà solo nel 1836. Questa situazione gli precluse, di fatto, di scrivere opere per altri teatri.

L’occasione per una commissione non operistica sarebbe stata un viaggio in Spagna, nel 1831, con il suo amico banchiere Alejandro Aguado. A Madrid conosce il prelato Manuel Fernández Varela che gli chiede uno Stabat Mater, in previsione della Settimana santa del 1832. In ritardo per la consegna del lavoro, Rossini chiede l’aiuto di Giovanni Tadolini per la stesura di alcuni pezzi. Ma lo Stabat arriva in ritardo a Madrid, e invece del venerdì santo del 1832 verrà eseguito nella settimana pasquale del 1833.

La “storia” dello Stabat Mater come finisce? E qual è la difficoltà critica di questo lavoro di Rossini?
Anche lo Stabat Mater diventò soprattutto una questione legale. Quando il prelato che aveva commissionato il lavoro muore, nel 1837, il manoscritto dello Stabat Mater viene acquistato da una persona che contatta un editore francese diverso (Aulagnier) da quello (Troupenas) con cui il compositore, forse presago del problema, stava prendendo accordi per la pubblicazione dell’opera. Ne seguì un’altra causa. Rossini decise di riorganizzare lo Stabat Mater e di scrivere lui stesso i pezzi che nella precedente versione erano stati composti da Tadolini. Noi abbiamo l’autografo di questa seconda versione, ma non la prima scritta per il committente spagnolo: mancano dunque i pezzi di Tadolini, che conosciamo solo in una riduzione pianistica, pubblicati dall’editore “pirata”.

È una storia molto affascinante e complessa.
Molto complessa. Proprio per questa storia molto intricata prima di pubblicare l’edizione critica saranno necessarie, da parte della Fondazione Rossini, altre e più lunghe indagini. Nella seconda versione lo Stabat Mater viene eseguito a Parigi nel gennaio del 1842 e successivamente a Bologna (dove all’epoca Rossini viveva), con la direzione di Gaetano Donizetti. La scelta di Donizetti non era casuale, dato che Rossini stava caldeggiando la figura del compositore bergamasco per la direzione del Liceo musicale bolognese, di cui Rossini era consulente. 

La storia dello Stabat si interseca anche con la vita privata del compositore.
Tra le due versioni dello Stabat Mater Rossini subisce una serie di lutti. Aveva già perso la madre, Anna Guidarini, a cui era profondamente legato, nel 1827: all’epoca sembrò assorbire il colpo. Ma alla morte del padre nel 1839 Rossini, segnato drammaticamente, entrò in una spirale negativa, un crollo psicofisico che lo segnò per i successivi quindici anni. All’inizio lo arginò grazie ai suoi impegni bolognesi, ma la situazione peggiorò quando lasciò Bologna, nel 1848, oggetto di una dimostrazione negativa, accusato di essere un reazionario.

Nello Stabat Mater ci sono dei riferimenti interni alla sua produzione operistica?
C’è un grande equivoco sulla musica sacra italiana, che i germanofili accusarono sempre di essere teatrale. È successo per lo Stabat Mater di Rossini e succederà anche per il Requiem di Verdi (non dimenticando mai che il nucleo del Requiem verdiano è la fallita Messa per Rossini).
Anche le arie più tradizionali dello Stabat Mater (per es. il "Cujus animam") non hanno molto in comune con le arie scritte da Rossini fino agli anni Venti. Il tenore che canta nello Stabat è il medesimo che ha cantato Lucia di Lammermoor, non è il tenore “rossiniano”: Rossini si era sempre tenuto aggiornato rispetto agli stili vocali dell’epoca.

E invece, qual è la visione di Rossini del mondo e della spiritualità?
Rossini non ha mai fatto grandi dichiarazioni d’intenti, le poche che ha fatto sono spesso in contraddizione con i fatti. La più famosa è quella emersa da una chiacchierata con il suo biografo Antonio Zanolini nel 1836 dove afferma che la musica è tutta ideale (ossia non imitativa, non realistica). In verità, se si guardano le singole opere di Rossini, questo non è del tutto vero. Probabilmente, in opposizione al Romanticismo degli anni ’30, Rossini si costruì fino alla fine della sua vita un’immagine di autore apollineo e distaccato. Anche questa è una nevrosi, dopotutto parliamo di un uomo che proprio in quegli anni entrò in una grande crisi. La più esplicita adesione alla religione si trova nella dedica e nell’esergo della Petite messe solennelle, negli anni Sessanta dell’Ottocento: un commovente, e ironico, appello al "bon Dieu" al momento di congedarsi dalla vita terrena. Ai tempi dello Stabat non ci sono testimonianze esplicite, ma la musica di Rossini, come sempre, parla per lui.

Valentina Trovato

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