Orchestra Sinfonica di Milano - Articoli

#Šostakóvič50: dialogo con Franco Pulcini

Pubblicato il 18/12/2024

“Era alto e aveva i capelli castano chiaro. Il volto pareva emaciato da una lieve sofferenza, ma gli occhi grigi brillavano dietro agli occhiali spessi. Da giovane dimostrava molti anni in meno. Al cospetto dell’obiettivo aveva sorrisi tesi ed enigmatici, come sprofondato in meditazioni insondabili. In certe immagini l’espressione pare contratta in un cenno di smorfia dolorosa.
Iniziò a dichiararsi vecchio a trentott’anni. E in effetti un cumulo di malattie lo invecchiò precocemente. Sofferse di mali inspiegabili alle gambe e al braccio destro, la cui causa originaria poteva essere nervosa. Somatizzò le pressioni psicologiche. Gli si svilupparono dei tic, alla mascella, al volto. Si strofinava continuamente le mani, come volesse lavarsi da chissà quale colpa. Parlava a scatti con forte pronuncia pietroburghese - considerata snob nella Russia di allora - usando con imbarazzante insistenza intercalare tipo “per così dire”. Gli era molto difficile la comunicazione con persone che non conosceva, alle quali poteva parere un sordomuto. La tensione del processo creativo e l’altalena di clamorosi successi e minacciose disgrazie politiche avevano ridotto i suoi nervi in pessimo stato. Cercava di vivere con calma filosofica tanto le cadute quanto gli entusiasmi collettivi che la sua musica suscitava. Anestetizzarsi, per tirare avanti. Imparò a non lasciarsi trascinare né dagli eccessi di gioia né dalla disperazione, anche se negli anni l’altalena lo segnò. Fu torturato dall’insonnia in ogni età, confessando di abbandonarsi spesso al pianto, come gli accadeva componendo. La Santa Russia era stata una madre troppo dura con la fragilità di un figlio amato incondizionatamente quando era ormai troppo tardi” (Franco Pulcini, Dmitrj Šostakóvič, De Sono 2003).

Pëtr Vil’jams, Ritratto di Šostakovič, 1947, Mosca, Museo Glinka

Quella riportata sopra è una descrizione del grande compositore russo Dmítrij Dmítrievič Šostakóvič tratta da un libro fotografico pubblicato dalla casa editrice De Sono nel 2003 a cura del musicologo Franco Pulcini. Un compositore che, a distanza di 50 anni dalla sua morte avvenuta nel 1975, ha ancora molto da dirci e raccontarci sulla musica e sulla storia del Novecento. In occasione delle celebrazioni del 2025, l’Orchestra Sinfonica di Milano dedica alla sua memoria l’esecuzione di alcuni suoi capolavori sinfonici: la Sinfonia n. 10 in Mi minore, venerdì 17 e domenica 19 gennaio con Emmanuel Tjeknavorian sul podio, e la Sinfonia n. 7 in Do maggiore, venerdì 21 e domenica 23 marzo sotto la direzione di Michael Sanderling. 
Abbiamo incontrato proprio il musicologo Franco Pulcini, tra i maggiori e acuti conoscitori del compositore russo.

Professor Pulcini, il suo libro dedicato a Dmítrij Šostakovič è stato pubblicato nel 1988 (e ristampato da EDT nel 2021). 
Come era considerato il compositore russo in quel periodo e dove nasce l’interesse per questo compositore?

Negli anni Ottanta era ancora in corso l’affermazione della seconda Scuola di Vienna, una produzione musicale che aveva subito l’ostracismo del Nazismo e doveva essere conosciuta. In quel periodo, era ancora molto forte l’influenza del pensiero di Theodor W. Adorno, secondo il quale la dissonanza aveva un significato rivoluzionario. Un autore come Šostakovič, relativamente classico in confronto a un Webern, era pertanto poco seguito e talora denigrato. Un destino simile toccò per qualche decennio anche a un altro grandissimo musicista come Benjamin Britten. Di Šostakovič si sapeva poco. Per esempio non era chiaro se fosse stato un uomo legato al regime sovietico o un dissidente. 

Qual era la difficoltà rappresentata da questo autore?

A partire dagli anni Cinquanta si sono affermate le nuove avanguardie musicali, un’evoluzione del linguaggio alla quale non apparteneva la musica di Šostakovič, considerata stilisticamente arretrata. Non ascoltandolo molto in quei decenni, era certo un po’ difficile comprenderlo. Non era inoltre un autore facile, come alcuni credevano. Malgrado l’apparente tradizionalismo, il suo pensiero musicale è piuttosto criptico, difficile da interpretare in modo approfondito, specie se non si è russi. È un autore che sa simulare; a volte la sua musica funziona un po’ come quando nei suoi epistolari scrive agli amici “va tutto meravigliosamente bene”, per dire l’esatto contrario. Allo stesso modo, quando ascoltiamo lo straordinario finale della Quinta sinfonia siamo di fronte alla caricatura di un trionfo, alla sinistra deformazione di una pomposa apoteosi, a una tragica ridicolizzazione della propaganda politica. La sua musica è inoltre piena di messaggi cifrati, come per esempio nella Decima sinfonia, dove è possibile rintracciare la sigla delle sue iniziali D.SCH (re, mi bemolle, do, si), che si oppone al tema della Sinfonia in cui ha tratteggiato l’immagine della furia di Stalin. 


Mozart, così come altri autori, tra cui Vivaldi e Schubert, hanno una straordinaria creatività inventiva innata.

Ci sono musicisti per cui scrivere musica e parlare risulta la medesima cosa. Le partiture di Mozart sono scritte di getto, senza correzioni, mentre ci sono altri autori che preferiscono ritoccare e rifinire (come Beethoven, NdR). Pare che Šostakovič scrivesse molto di getto e, per esempio, sembra che il celebre Scherzo della Decima sinfonia sia stato scritto in due giorni, quando ci vuole una settimana per ricopiarlo.

È incredibile pensare che qualcosa di così complesso potesse prendere vita in un tempo così breve.

Chi conosceva personalmente il compositore ha raccontato che fosse un’esperienza straordinaria sentirlo eseguire al pianoforte le sue Sinfonie fresche d’inchiostro. Però Vladimir Ashkenazy mi raccontò che il suo maestro Lev Oborin (che conosceva molto bene Šostakovič da giovane) gli disse che – a dirla tutta – come pianista, aveva una certa tendenza a “pestare”…

Un pianista ben diverso da una delicatezza à la Chopin…

Un pianista dotato di energia nervosa alla tastiera, una caratteristica che però è abbastanza vicina a un certo pianismo “alla russa”.

Qual è il suo rapporto, la sua affinità umana, con Šostakovič?

Da quel che si sa, Šostakovič è stato un uomo particolarmente chiuso e impenetrabile, una persona che stava volentieri da solo, piuttosto che in compagnia. In genere, un artista si sente molto solo quando è in mezzo ad altre persone, perché non può stare in compagnia dei suoi pensieri, delle sue idee. Questo aspetto mi lega certamente a lui, anche se non sono ossessionato dalla creatività come era probabilmente lui. Sia chiaro, la sua non era timidezza. Infatti, seppure fosse una persona estremamente fine e garbata, non aveva alcuna remora a criticare gli esecutori della sua musica. Lo ha fatto con un mito vivente, il direttore d’orchestra Evgenij Mravinskij, e persino con David Ojstrach, il più grande violinista del Novecento. Ha anche parlato malissimo dell’esecuzione di Toscanini della sua Settima. Diceva quel che pensava, senza ipocrisie, ma preferiva stare da solo. Viaggiava poco, lo stretto necessario.

Quale immagine è stata lasciata del compositore?

“Testimony”, il libro di memorie di Šostakovič, a cura di Solomon Volkov, non è l’immagine che il musicista ha voluto lasciare di sé. E’ una raccolta di voci, con racconti in molti casi veri, ma non pronunciati da lui per essere trascritti come l’autoritratto di un’esistenza. Come ha spiegato il violoncellista Mstislav Rostropovič, è un libro che ci fa però comprendere che il compositore fosse un dissidente prudente e non un uomo del regime sovietico. Infatti, in alcune lettere degli anni Sessanta, sotto Chruščëv, (ritrovatosi costretto ad iscriversi al Partito comunista per evitare la ripresa dell’emarginazione), dopo essersi rotto una gamba, ha scritto: “Sono stato punito da Dio per tutti i miei peccati, a partire dall’essermi iscritto al Partito comunista”.

Nel 2025 ricorre il 50° anniversario della morte del compositore. Qual è l’eredità che ci lascia?

Sicuramente Šostakovič rimane un artista che gode oggi di grande rispetto. Un musicista che ha subito la sua influenza è Alfred Schnittke. Questa carica di deformazione del linguaggio classico, che Šostakovič riusciva a realizzare, si ritrova in Schnittke, anche se quest’ultimo non è stato suo allievo diretto, come lo è stato invece Edison Denisov. In verità, un po’ tutti i musicisti russi hanno dovuto fare i conti con la musica di Šostakovič. E, al di là dell’imponente statura artistica, tutti ricordano un uomo mite ed esemplare, un genio con una sua infantile ingenuità, la classica persona buona e indifesa, come ce ne sono tante, che ha subito l’accanimento di gentaglia ignorante, livorosa e maligna.

Redazione

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