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Amore in Musica

l’amor che move il sole e l’altre stelle

Pubblicato il 13/02/2024

Lo cerchiamo tutti spasmodicamente, lo cantano dai tempi dei Trovatori provenzali, fino ai cantanti della musica pop, per passare per il cinema e per i grandi capolavori del melodramma ottocentesco: l’Amore, «Quell’amor ch'è palpito dell’universo intero», come canta Alfredo nella Traviata di Verdi, opera-quintessenza dello spirito Romantico di Verdi e del romanticismo. Ammettiamolo, almeno una volta nella vita ci siamo sentiti tutti come Violetta e Alfredo: uomini e donne che si scoprono nuovi nel mondo, come se si fossero innamorati per la prima volta e sorpresi per la forza travolgente di quel sentimento e di quell’emozione nuova, che ci vuole migliori allo sguardo dell’amato.

Quella tensione drammatica tipica del Romanticismo ottocentesco fu complice nel raccontare l’uomo nella sua più totale e umana fragilità, non più una pedina del destino scelto da qualcuno di più importante, come capitava nell’opera seria del Settecento, ma un consapevole e fiero combattente del proprio destino, anche se ad esso soccomberà. Come spesso capita nei melodrammi ottocenteschi, l’eroe del caso si trova combattuto tra il dovere pubblico e quello privato, facile in un’epoca costellata di rivolte e rivoluzioni, come ben sapeva Giuseppe Verdi, che del Risorgimento fu una delle voci più autentiche. Ne è un esempio, in tal senso, la coppia eroica della Traviata, composta da Violetta Valery e Alfredo Germont: di fronte alla richiesta di papà Germont di abbandonare il figlio, Violetta accetta per salvare Alfredo dalla bancarotta e quindi permettere il matrimonio della sorella di lui. 

Lo vedi? Ti sorrido
sarò là, tra quei fior presso a te sempre...
Amami, Alfredo, quant'io t'amo... Addio

(La Traviata, dalla Scena VI del II atto)

Un amore del Sacrificio è quello targato Verdi in Traviata, ma anche nel monumentale e granitico Don Carlo – vero dramma del potere pubblico e del privato – così come sacrificale sarà la figura di altre eroine dell’Ottocento romantico o post-romantico, Norma nell’idealizzazione di Vincenzo Bellini, e la Tosca di Giacomo Puccini, ultimo grande operista e uomo di teatro della tradizione ottocentesca. Norma, Violetta, Tosca e le altre fanno tutte parte di un modo d’intendere l’amore romantico evocato dalle strutture drammaturgiche del melodramma: lui, lei e l’altro/a, l’antagonista che porta un po’ di sale (o pepe) alla storia. A questi schemi e a un certo modo di intendere il teatro, ma anche nel mondo dei sentimenti e della donna, nella seconda parte del XIX secolo qualcosa cambia e s’incrina. Arriva la ribelle Carmen: zingara, libera, che sul palco parigino dell’Opèra Comique porta nel 1875 la rivoluzione di un modo d’intendere l’essere donna e l’amore.

L'amour est un oiseau rebelle
Que nul ne peut apprivoiser,
Et c'est bien en vain qu'on l'appelle,
S'il lui convient de refuser.
Rien n'y fait, menace ou prière,
L'un parle bien, l'autre se tait;
Et c'est l'autre que je préfère,
Il n'a rien dit, mais il me plaît.

(Carmen, Habanera, da Atto I, Scena V)

Georges Bizet, che non potrà assistere alla Prima della sua opera, nel contrasto tra Micaela, angelo del focolare, e la passionale Carmen, ci ricorda che esistono sempre diversi modi d’intendere la vita e l’amore, ma soprattutto la tragicità delle passioni e della libertà. Carmen morirà per mano dell’ex amante Don Josè mentre l’amato toreador Escamillo vince la sfida contro il mondo animale.
Carmen non è l’unico personaggio femminile a segnare un cambiamento nella visione della donna e dell’amore, come lei anche la Lulu di Alban Berg del 1937 e la straordinaria Medea di Luigi Cherubini datata 1799, opera che aveva sconvolto grandi musicisti del Classicismo, e che portano l’etichetta anche di pre-romantici, come Beethoven e Schubert. O ancora, dal dramma della gelosia è segnato anche il destino della trama di due lavori del teatro verista: Pagliacci di Ruggero Leoncavallo e Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni. Segno che i tempi sono cambiati, l’amore è raccontato non più attraverso il filtro dell’immaginario della donna angelicata (per rubare metafore e parole al trecentesco Stil Novo) o dell’amore perfetto e cortese, ma passioni vere e reali, sanguigne, che bruciano, e che talvolta portano dolore. 
Certamente, nel XIX secolo vi è uno sguardo sempre maschile che guarda al mondo delle emozioni femminili: “uomini che fabbricano le donne” avrebbe sintetizzato Elena Greco, la protagonista dell’Amica geniale, travolta dagli sconvolgimenti culturali degli anni Settanta del Novecento. Un dato sociologico da tenere a mente, visto che il mondo della musica era fatto dagli uomini, e difficilmente nel Sette e Ottocento si trovano compositrici, le poche che riescono a emergere sono Fanny Mendelssohn, Maria Teresa Agnesi Pinottini, Clara Wieck Schumann.
Passioni mai sopite, amori rinnegati. A partire dal teatro musicale del tardo romanticismo, si fa strada l’idea di quella connessione tra eros e thanatos, che sarebbe stata affrontata da Sigmund Freud in Al di là del principio di Piacere. Un libro fondamentale per gli studi psicanalitici, pubblicato nel 1920, guarda caso, dopo il celeberrimo incontro con Gustav Mahler, il compositore che forse più di tutti aveva assunto nella sua produzione (composta di sola musica sinfonico-vocale) quella tensione tragica tra Vita e Morte. Come nell’Adagietto della Quinta sinfonia (che aveva affascinato anche il grande regista Luchino Visconti, tanto da usarlo nella scena finale di trasfigurazione di Morte a Venezia): un dono per l’amata Alma, una dichiarazione d’amore e un gioiello di pura e perfetta eleganza. Mahler appartiene a quel contesto viennese fin de siécle, come Gustav Klimt e Richard Strauss. Quest’ultimo affrontò il tema d’amore in una delle opere più celeberrime del musicista: Der Rosenkavalier su libretto di Hugo von Hofmannsthal, straordinario ritratto di una Vienna ormai lontana, trasfigurata dalla scelta di un’ambientazione settecentesca, che racconta dei giochi del destino e dell’amore di Sophie e di Octavian.
Eros e Thanatos, Vita e Morte, concetti che vengono espressi in uno dei capolavori del teatro wagneriano: Tristano e Isotta. Non c’è bisogno di attendere lo svelarsi dell’azione dell’opera, per scoprirne gli eventi, è sufficiente addentrarsi tra le pieghe dell’ouverture dove sono esposti i leitmotiv dell’opera, ma soprattutto luogo in cui veniamo introdotti a quella tensione magmatica che trova espressione attraverso l’utilizzo del “Tristan-Akkord”.
“Ciascun atto termina con la conferma del loro particolare concetto di felicità, - ricorda Virgilio Bernardoni - ribadito ogni volta nei medesimi termini lessicali: «höchste Liebeslust» e «höchste Lust», che Guido Manacorda traduce in italiano con «altissima gioia d’amore» – o anche «suprema voluttà d’amore» – e con «suprema letizia». Arthur Groos ha acutamente rilevato come l’ambiguità lessicale insita nei termini Lust e Liebeslust diventi il punto focale delle emozioni dei protagonisti e ne esprima i livelli di autocoscienza, e sia in qualche misura responsabile anche dell’irrisolta tensione interna al dramma”. 
© Ludwig eMalwine Schnorr von Carolsfeld nel Tristano e Isotta (1865)
© Il compleanno (1915)
Eros e Thanatos sono i luoghi indagati anche dal cinema di Valerio Zurlini, nel film “La prima notte di quiete” con Alain Delon, protagonista nel ruolo di professore, uomo (forse) finito dalla vita. Sullo sfondo di una Rimini decadente, l’incontro con Vanina (nome certamente non casuale, che rievoca un epico personaggio di Stendhal), giovane studentessa interpretata da Sonia Petrova, sembra segnare la svolta per entrambi. Forse. L’unione di due solitudini.

Allora ti amerò
Allora quando avrai
La tenerezza che
Non hai avuto mai
Allora ti amerò
Ma tu non lo saprai...

(Claudio Lolli, Quando la morte avrà)

© copertina esterna disco "Aspettando Godot" di Claudio Lolli
© Interno disco "Aspettando Godot" di Claudio Lolli

Valentina Trovato

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