L’ispirazione creativa può giungere da ogni luogo, dal mondo interiore come da quello esteriore, nella sua continua espiazione. Questo è il grande insegnamento che la storia della Musica ci dà nelle sue intersezioni tra universi creativi e sensibili.
La natura, il mondo dei sensi, avrebbe sempre affascinato letterati, filosofi e compositori, a partire dalla notte dei tempi, nella creazione del mito di Orfeo , il cantore originario della Tracia, che con il suo canto e la sua lira incanta bestie e piante. Di solito Orfeo era considerato il figlio della Musa Calliope e di Eagro, ma Pindaro si riferì ad Apollo in modo ambiguo come patrono di Orfeo o come suo padre. Orfeo appare per la prima volta in un pannello scolpito della metà del VI secolo a.C.; qui è in piedi sul ponte di una nave, con in mano una cetra. Alcuni dettagli identificano la scena come tratta dal mito degli Argonauti. Più avanti nel VI secolo il poeta Ibico ne colse la fama, ma i primi riferimenti letterari significativi si trovano negli scrittori del V secolo, a partire dalla descrizione lirica di Simonide degli uccelli e dei pesci che ascoltavano il canto di Orfeo. Un altro poeta, Pindaro, lo definì "il padre del canto"; Eschilo nell’
Agamennone scrisse del suo potere di ammaliare l'intera natura; Euripide menzionò ripetutamente questo potere (nelle
Baccanti vi è un passaggio molto rappresentativo), sottolineandone l'aspetto magico. Quest’ultimo è un elemento tanto importante in quanto connesso anche al patto inviolabile di Orfeo con la morte, per riportare alla vita l’amata Euridice.
La connessione tra Natura e Musica è già evidente nel mito di Orfeo e nelle sue narrazioni tra Sei e Settecento (si pensi anche solo all’
Orfeo monteverdiano), nell’elaborazione di un’ambientazione pastorale e di un contesto di imitazione della pace dei sensi della natura. Certamente, la musica barocca impara dalla natura l’arte dell’imitazione, come Antonio Vivaldi ben pensa ed elabora nelle
Quattro Stagioni: tutti gli strumenti allora integrati nell’estetica barocca sono elaborati nella creazione di un immaginario, quello delle stagioni che cambiano. Tra i quattro concerti del grande musicista veneziano certamente colpisce sempre l’attenzione dell’ascoltatore l’Estate con l’evocazione di un temporale, che nella nostra memoria ci ricorda la sua fine.
Utilizzare i suoni della natura in musica era parte integrante dell’estetica barocca, tanto che altri contemporanei del
Prete Rosso li utilizzarono, tra loro certamente è di rilievo il nome di Carlo Monza, grande musicista milanese già allievo di Giovanni Andrea Fioroni (maestro di cappella della corte ducale meneghina). Nel suo Quartetto “La caccia” viene raccontato in modi straordinari
l'arrivo del temporale.
L’elemento naturale nella sua connessione con le altre arti avrà un ruolo particolarmente rilevante nella nascita e nell’evoluzione della poetica romantica e nella nascita delle Scuole nazionali.
Nella nascita del movimento romantico la Filosofia della Natura di Friedrich Schelling rappresentò il punto di partenza della sua elaborazione estetica e letteraria.
Per il filosofo, il mondo poteva essere raffigurato come un organismo in continua evoluzione, da comprendere solo in termini del suo compito ultimo, il raggiungimento dell'autocoscienza. L'emergere dell'uomo dalla natura è parte di questo processo, quindi è un errore pensare allo spirito come a un'opposizione diretta alla natura; i due sono fondamentalmente uno: la natura è spirito visibile, lo spirito è natura invisibile. Ancora più importante, il processo creativo è lo stesso in entrambi. L'unica differenza tra la natura che produce un organismo e un genio che produce un'opera d'arte (che deve essere anch'essa vista come un organismo e da intendere teleologicamente) è che quest'ultima agisce consapevolmente. Tuttavia, ciò significa che nella grande arte la consapevolezza dello spirito di sé stesso e della sua identità con la natura (e quindi l'autocoscienza del mondo in quanto tale) viene raggiunta e manifestata. Questa filosofia è stata abbracciata dagli artisti romantici per due dei suoi aspetti: la sua identificazione dell'uomo con la natura, dello spirito umano con le forze naturali; e la sua rappresentazione dell'arte come la più elevata di tutte le attività umane.
Nell’Ottocento, la connessione tra musica e natura trova strade alternative.
Da una parte, la scoperta del poema sinfonico da Berlioz in poi, porta a un’elaborazione di mondi immaginifici legati alla natura (come per esempio ne
la Moldava di Bedřich Smetana) dove la narrazione di un ambiente fa rima con terra e patria.
Dall’altra, Liszt e Wagner insistevano sul fatto che nella ricerca di una “musica assoluta” l'assenza di parole nella musica non implicava l'assenza di significato. Il
Programm-Musik di Liszt e il
Gesamtkunstwerk di Wagner nacquero entrambi dalla convinzione che tutta la musica fosse essenzialmente significativa e che nessuna musica potesse essere considerata più
assoluta di un'altra. Questa convinzione dà origine a un'ulteriore definizione negativa dell'"assoluto" nella musica: è musica che non ha riferimenti esterni. Quindi l'imitazione della natura nella musica è un allontanamento da un ideale assoluto: i concerti di Vivaldi, le "Quattro Stagioni", sono meno assoluti dell'
Arte della Fuga. Anche il poema sinfonico è contaminato dall'impurità, come ogni altra forma di musica a programma.
È a questo punto che il concetto di musica assoluta diventa poco chiaro. Di certo non corrisponde più a ciò che Richter e Hoffmann avevano in mente. Entrambi gli scrittori consideravano la purezza della musica, la sua qualità di arte "assoluta", risiedere nella natura dei suoi poteri espressivi e non nella loro totale assenza. Per Richter la musica era assoluta in quanto esprimeva un presentimento del divino in natura; per Hoffmann divenne assoluta attraverso il tentativo di esprimere l'infinito nell'unica forma che rende l'infinito intelligibile al sentimento umano. Per prendere in prestito la terminologia di Hegel: la musica è assoluta perché esprime l'
Assoluto e secondo questa visione, la musica liturgica è la più assoluta di tutte.
La nozione di "assoluto" nella musica è quindi diventata inseparabilmente intrecciata con il problema dell'espressione musicale. Tutta la musica è espressiva, solo una parte o nessuna?
In questa dimensione rientra anche la musica di Richard Strauss, in particolare con quell’opera meravigliosa che è la
Sinfonia delle Alpi.
Un lavoro maestoso, una travolgente avventura. Nella sua ricerca musicale e intellettuale, Richard Strauss avrebbe dedicato molte energie alla stesura della
Sinfonia delle Alpi. I primi abbozzi risalgono al 1902, ma non fu prima del 1911 che egli riprese a lavorare alla
Sinfonia, la sua ultima composizione per orchestra di grandi proporzioni, in concomitanza della morte dell’amico (e rivale) Gustav Mahler. Dopo una lunga genesi, il lavoro veniva concluso nel febbraio del 1915, quando ormai il primo conflitto mondiale furoreggiava in Europa.
Nelle idee del musicista, la
Sinfonia aveva un significato ben più alto e profondo di una semplice raffigurazione di mondi fascinosi o di una passeggiata sui monti e dipingeva «la purificazione morale dell'uomo grazie ai suoi soli forzi, la liberazione dal lavoro, il culto dell'eterna, splendida natura», una purificazione di cui sarebbe stato artefice quell’anticristo che già Nietzsche aveva presentato nel secolo precedente.