Il 21 novembre ricorre la giornata della filosofia e l'occasione è ghiotta per poter riflettere intorno al tema della filosofia in un'epoca, il XIX secolo, così importante per l'evoluzione del linguaggio musicale. Ma non solo. La musica si evolve anche attraverso l'elaborazione di riflessioni e connessioni con le altre arti e altre forme di espressione.
La musica e l'ineffabile - l'ineffabilità della musica. Tutti forse siamo convinti che la musica debba dire qualcosa. "Un brano musicale non si presenta come un muro di suoni al di là del quale non c'è null'altro. Nello stesso tempo un poco di riflessione insegna subito che non può darsi nessuna traduzione verbale di ciò che viene detto musicalmente. Se dunque la musica è un dire, essa dice ciò che non può essere detto in parole. Ma ciò che non può essere detto in parole è ancora un dire? Cosicché si affaccia subito una possibile relazione interna tra la musica e l'ineffabile. Ma sul modo in cui questa relazione viene posta cominciano i dubbi e le perplessità. Intanto vi sono almeno due modi di impiegare parole come questa queste - l'ineffabile, l'indicibile: un modo strettamente letterale che sembra poter aderire a contesti del tutto quotidiani; ed un modo che esalta il senso letterale e che dunque riporta il loro impiego a contesti eccezionali" (Giovanni Piana, Il tema dell'ineffabilità nella filosofia della musica di Jankélévitch)
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Filosofia della musica o musica nella filosofia?
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Certamente queste due discipline sono sempre state fortemente connesse, a partire dall’ultimo quarto del XVIII secolo. Tutto iniziò quando si sentì l’esigenza – o meglio si comprese – la necessità di un’articolata riflessione sulla musica e dell’impossibilità di organizzare il sapere musicale in strutture organizzate, qualcosa che oramai era chiaro nel Settecento. Queste riflessioni si espressero in area germanica, in particolare, seguendo due direttrici principali, che vengono esemplificate dal carteggio tra Goethe e Bettina Brentano. Due personalità, molto eterogenee, che propongono due visioni ben diverse: “Bettina concepisce la musica sempre e soltanto come iridescente metafora, similitudo brevior per penetrare più addentro nei misteri della divinità, dell’anima umana e della natura, laddove, al contrario, per Goethe la musica è soprattutto un’attività formativa artigianale e i musicisti, siano essi compositori o musicisti, sono essenzialmente i detentori di uno specifico sapere tecnico” (Giovanni Giunti).
La concezione della musica come arte non passibile di indagine sistematica ma in grado, al contempo, di pronunciarsi come un oracolo riguardo ai massimi problemi filosofici-teologici dell’umanità, aveva avuto il suo primo momento dialettico in alcuni testi del teorico Wilhelm Heinrich Wackenroder, il quale seppur morto venticinquenne ebbe grande influenza sul romanticismo di Novalis, Schlegel, Schelling e Schleiermacher. Wackenroder, straordinario e audace predecessore e Spirito Guida dei Romantici, avrebbe così sintetizzato la sua visione in relazione all’eroe da lui narrato:
“Fu proprio la sua alta fantasia a logorarlo? O devo dire che egli era fatto più per godere l’arte che crearla? Forse che questa misteriosa capacità di creare è qualcosa di molto diverso e di più meraviglioso ancora e di più divino che la forza stessa della fantasia?”
© Sarah Louisa Kilpack, St Michaels Mount Cornwall
Quello di Wackenroder è certamente un pensiero esemplare che si batte contro quella forma di pensiero razionalistico del suo secolo e che anticipa anche una certa dualità tra il suo sentire e quello della futura scuola filosofica di Hegel. Sempre il teorico si scagliava contro chi “da questa parola bellezza, voi tirate i fili attraverso gli artifici dell’intelletto, di un sistema severo di idee e volete costringere tutti gli uomini a sentire secondo le vostre prescrizioni e regole. Chi crede a un sistema, ha scacciato dal suo cuore l’amore universale”.
Distante da questa visione romantica è la quella di Eduard Hanslick, che nel 1854 finiva di scrivere “Del bello musicale” – testo probabilmente conosciuto anche da Bettina Brentano che muore nel 1859 – una confutazione radicale dei presupposti della concezione romantica della musica e i fondamenti della moderna estetica musicale.
Il principale bersaglio polemico del libello di Hanslick non sono “gli ascoltatori che romanticamente sprofondano in dormiveglia sulla loro poltrona” o l’estetica utopistica di Richard Wagner (criticata per il concetto della melodia infinita quindi mancante di una forma elevata a principio), ma piuttosto la pretesa (comune alle sintesi filosofiche legate all’idealismo hegeliano) di ricavare la normativa estetica di ogni specifica arte “da un puro e semplice adattamento del concetto generale metafisico del bello”.
Per quanto il libro di Hanslick possa sembrare anacronistico in quel 1854, egli poté anche tracciare con chiarezza i limiti della musica e della filosofia e sottolineare il pericolo di associare la visione di singoli musicali a una visione più generica dei movimenti culturali, come già aveva colto anche Friedrich Schlegel. Infatti, personalità poliedriche come Robert Schumann, Carl Maria von Weber, Hector Berlioz coltivarono vasti e variegati interessi, tanto da rendere queste personalità dei personaggi nuovi nel panorama musicale e culturale. Senza parlare di Richard Wagner, che nella sua tensione a un’opera totale si mostra come un musicista e un intellettuale del futuro. Segno che Friedrich Schlegel ci aveva visto lontano nel suo Liceum.