Orchestra Sinfonica di Milano - Articoli

Ricordando Vladimir Delman

A distanza di 100 anni dalla nascita del musicista

Pubblicato il 13/11/2023

L'occasione del Trentesimo anniversario della nascita dell'Orchestra Sinfonica di Milano ci permette di riscoprire una figura mai dimenticata nella storia della formazione orchestrale: il suo fondatore Vladimir Delman.
Nato a Leningrado (oggi San Pietroburgo) il 26 gennaio 1923, si è diplomato in pianoforte e direzione d’orchestra presso il Conservatorio della stessa città. Da quel momento ha inizio una lunga carriera (dapprima come preparatore di cori) che lo ha portato a dirigere nei principali teatri dell’Unione Sovietica e del mondo. In patria, negli anni ‘50 ha diretto opere come Il matrimonio segreto di Cimarosa, Il pipistrello di Richard Strauss e I racconti di Hoffmann di Offenbach. Nel 1963 diresse il Matrimonio nel convento di Sergej Prokof’ev, trasmessa anche dalla BBC in collegamento con Radio Mosca. A Mosca, inoltre, le prime esecuzioni assolute di due brani del compositore Rodion Ščedrin, Bureaucratiade op. 27, il 24 febbraio del 1965, e Not Love Alone op. 47, il 20 gennaio del 1972, quest’ultima con l’Orchestra del Teatro dell’Opera da Camera di Mosca di cui è stato fondatore e direttore a partire dal 1971. Si dedicò nello stesso periodo all’insegnamento presso l’Istituto di Arte Teatrale. E proprio gli studenti di quell’Istituto furono coinvolti, insieme con l’Orchestra del Teatro dell’Opera da Camera di Mosca, nel recupero e messa in scena dell’opera di Šostakovič Il naso.
Nel 1974 ottenne il permesso di espatrio e si trasferì in Italia acquisendone la cittadinanza. Inizia a dirigere nei maggiori teatri lirici (Milano, Napoli, Roma, Palermo) e le principali orchestre sinfoniche sia in Italia che all’estero. In particolare, nel 1975 dirige la sua prima opera in Italia, Evgenij Onegin di Čajkovskij al Teatro Politeama Garibaldi di Palermo. Nel 1979 dirige al Teatro Comunale di Bologna la Sinfonia n. 8 di Mahler Sinfonia dei Mille e a partire dall’anno successivo ne diventa direttore stabile (fino al 1983) e in seguito promotore del Teatro-Studio, presso lo stesso Ente lirico, di cui è stato direttore. Nel 1984 registra le sei Sinfonie di Čajkovskij con l’Orchestra del Regio di Torino, edite dalla Fonit-Cetra in 4 CD. Dal 1985 al 1987 è stato Presidente della giuria del Concorso Internazionale per direttore d’orchestra “Arturo Toscanini” a Parma, e contemporaneamente è stato direttore del Corso Superiore di Perfezionamento Professionale per direttori d’orchestra, integrato nel concorso. 

Dal 1986 al 1988 è invece Direttore principale dell’Orchestra “Arturo Toscanini”. Nel 1988 ha realizzato con la RAI un film dal titolo A me l’orchestra per la regia di Fausto Dall’Olio. È stato ideatore e protagonista della serie televisiva Le Magnifiche Sei (1989), prodotta da Rai-Uno e dedicata alle sei Sinfonie di Čajkovskij eseguite dalle orchestre giovanili del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano (Sinfonia n. 2 e n. 4), del Conservatorio “Pëtr Il’ič Čajkovskij” di Mosca (Sinfonia n. 1 e n. 6) e della Carnegie Mellon University of Pittsburgh (Sinfonia n. 3 e n. 5). Sarebbe morto il 28 agosto 1994, poco dopo quella prima straordinaria stagione con l'Orchestra Sinfonica di Milano.

Il 13 novembre 1993 dirige al Conservatorio di Milano
 il primo concerto dell'Orchestra Sinfonica di Milano 
che ha contribuito a fondare pochi mesi prima. 

L'avvenimento, salutato da un grande successo, venne così registrato e commentato dal critico musicale del "Corriere della Sera", Duilio Courir in un articolo del 15 novembre 1993 con il titolo "Fiocco verde per orchestra neonata". 

Vladimir Delman, direttore d’autorità artistica indiscussa e di splendente sensibilità, ha tenuto a battesimo l’altra sera al Conservatorio con felicissimo successo una nuova formazione orchestrale, evento quasi incredibile con i tempi cattivi che corrono. Si tratta dell’Orchestra sinfonica di Milano “Giuseppe Verdi” (direttore artistico Marcello Abbado), sostenuta organicamente e generosamente da un gruppo di privati, la Cariploin primo luogo, che ha grandi ambizioni e che alla sua prima uscita pubblica ha suonato Čajkovskij e Berlioz. Dobbiamo essere grati ai promotori di questa impresa musicale per il segno d’ottimismo che costituisce. E augurarci che la crisi affliggente che attraversiamo non metta in difficoltà questa giovane Orchestra portandola invece a superare ogni problema con quei valori di entusiasmo, di serietà e di ricerca della perfezione che ha messo in mostra nel suo primo concerto. Il programma comprendeva la Serenata per orchestra d’archi di Čajkovskij, e in questa partitura la natura ispirata di Delman ha trovato l’accento esatto. La Serenata ha il segno cosmopolita della scrittura ciajkovskijana e dà l’impressione di voler tradurre nella lingua dell’Ottocento musicale francese e tedesco un materiale di una tradizione e di una radice russe che Cajkovskij dimostra di non dimenticare mai. Vladimir Delman conosce tutti gli indugi, le oscillazioni e le carezze di una musica della quale è veramente uno degli interpreti massimi. Un poco meno a fuoco ci è sembrata la Fantastica di Berlioz, che è il manifesto della spregiudicatezza e della visionarietà linguistiche del compositore francese. Vladimir Delman lo ha svolto con una linea d’aristocratica eleganza.

[…] I lavori per la formazione della nuova orchestra erano andati avanti. Senza soldi «perché per poterli chiedere - diceva l'indomito Delman - bisogna prima mostrare concretamente un progetto... L'organico finale dell' orchestra era di 115 giovani strumentisti, tutti tra i 18 e i 25 anni, selezionati fra 700 candidati che si erano presentati alle audizioni da tutta Italia.
"Tale iniziativa - spiegò il direttore artistico Marcello Abbado - non vuole fare concorrenza a nessuno. Abbiamo piuttosto bisogno di amici che vogliano prender parte con entusiasmo alla nostra attività. È questa infatti l'occasione giusta per sotterrare per sempre il clima rassegnato di questi ultimi anni e potrebbe essere un bel dono per gli amanti della bella musica che da tempo si aspettavano un'orchestra così".

Delman ribadì invece che "La musica è fatta per vivere meglio, anche se una realizzazione nuova come questa non sempre incontra la comprensione di chi ascolta. Perché spesso è proprio sul nuovo che si aprono numerose incomprensioni. Il nostro obiettivo preciso è quello di diventare un punto di riferimento per i giovani". Abbado e Delman si riferivano molto probabilmente ai malumori che nel frattempo erano venuti a crearsi all'interno della RAI. […] Il debutto della nuova Orchestra Sinfonica di Milano «Giuseppe Verdi» avvenne sabato 13 novembre, e dunque senza soluzione di continuità col megaconcerto di apertura del cartellone dell'Orchestra RAI. Come dire che Vladimir Delman si divise tra le due orchestre per la preparazione dei due programmi, e tutto ciò con una salute che continuava a fare capricci. Il vecchio canuto non demordeva; gli ostacoli non li schivava, ma ci passava sopra fino a sconfiggerli. Per la realizzazione di quel progetto impegnò ogni attimo libero del suo tempo, e tutto a titolo gratuito.
Il ricordo di Luca Santaniello, che fu tra i primi strumentisti ad essere scelto per far parte dell’Orchestra e nel 2000 ne è diventato violino di spalla: 
“Mi scelse come concertino dei secondi violini, per cui in prova e in concerto lo avevo sempre di fronte. Una magia! Alcuni miei insegnanti mi proposero di intraprendere la carriera di solista, una scelta molto difficile per un giovane strumentista. È stato grazie a Delman che mi sono innamorato dell'orchestra; lui mi ha fatto capire l'importanza del gruppo, del mettere le proprie capacità al servizio di qualcosa di più grande.


Per il Maestro il concerto era una cosa sacra! 
Infatti, ci diceva spesso: “dovete salire sul palcoscenico 
nello stesso modo in cui un cristiano entra in chiesa. 
Con devozione, con rispetto, 
con tutto il cuore e l'animo che avete!”. 

Luca Santaniello

Purtroppo il tempo che abbiamo trascorso assieme è stato brevissimo, sei, sette mesi; eppure la profondità della condivisione che abbiamo avuto è stata enorme. Durante il primo concerto ad un certo punto abbassò le braccia e lasciò che l'orchestra andasse da sola. Fu una sensazione straordinaria. A distanza di tanti anni mi viene ancora la pelle d'oca. Al termine del concerto, mentre faceva avanti e indietro per salutare il pubblico festante, ci dava a caso dei buffetti e io ne presi uno. Una cosa importante che mi ha trasferito è il senso del rispetto, un enorme, smisurato rispetto per il lavoro che facciamo".
Particolarmente significativo è l’articolo che un mese dopo, 13 dicembre 1993, scrisse il nuovo critico musicale del “Corriere della Sera”, Francesco Maria Colombo:

Le proprie credenziali con un concerto diviso fra Čajkovskij e Berlioz, ha preso l'abbrivo vero e proprio l'altra sera al Conservatorio con la Quinta Sinfonia di Mahler, opera ineludibile per una compagine che voglia mostrare un punto di forza, programmaticamente, nello schierare ben 110 giovani strumentisti (fra i diciotto e i venticinque anni) intorno al proprio direttore, Vladimir Delman. Tutta la stagione, del resto, verrà impostata su partiture che, per la loro collocazione storico stilistica attingono dimensioni e chiamano a un cimento eccezionali: incontreremo fra l'altro l'Ottava di Bruckner, la Quinta di Prokof'ev, la Faust Symphonie di Liszt.
Scelte che conseguono alla vastità dell'organico impiegato; ma soprattutto scelte in linea con la sensibilità di Delman e con la sua natura di interprete eletto del repertorio tardo romantico. La Quinta sinfonia di Mahler, abitualmente, non viene ricondotta a tale categoria, tanto più dopo le letture strutturaliste di alcuni grandi interpreti e dei loro eredi in fotocopia. Con Delman, invece, l'acribia nell'indagine fredda dei dettagli ha lasciato il posto a una fascinosissima, esacerbata immersione nei turbamenti e nelle più sottili reazioni emotive del mondo mahleriano. L’ingranaggio si è disciolto in una continuità del melos così lungamente sostenuta, così intimamente dolorosa da toccare una corda del linguaggio di Mahler che da tempo non sentivamo vibrare: qualcosa d'antico (per il recupero di un fraseggio non privo di parentele con il Čajkovskij più nichilista), anzi di nuovo.


Per questo Mahler si potrebbe citare il verso di Gottfried Benn a proposito di Chopin:
«Oscurato di stanchezza e di morte»; e tali dimensioni hanno trovato un varco anche nel Finale della Sinfonia, ingannevolmente ottimistico.

Un'interpretazione di fortissima carica comunicativa, quella di Delman (non a caso festeggiatissimo dal pubblico), e senza un filo di retorica: il celebre Adagietto (all'inizio del quale non potevi dire dove il silenzio si mutasse in suono) scorreva senza sdilinquimenti, ma come un'unica, ininterrotta linea di canto. I giovani strumentisti dell'Orchestra Verdi hanno dimostrato un impegno rimarchevole: più che un
esito consolidato, il loro debutto ufficiale rappresenta la seria premessa a un «colore» che li distingua, a un'integrazione senza dislivelli fra le famiglie strumentali, e a un'autentica autorevolezza laddove i singoli siano chiamati allo scoperto: sono elementi sui quali si dovrà lavorare nei prossimi mesi”.
Un bel documento è ancora la recensione-ritratto dello scrittore Alessandro Baricco, apparsa su “Musica Viva”, rivista mensile di Lorenzo Arruga, nel gennaio 1992.

TORINO - Delman che dirige l'Orchestra RAI di Torino in un programma tutto ciajkovskijano: Romeo e Giulietta e Quinta sinfonia. Nella memoria, due sensazioni: la prima è quella di aver raramente ascoltato quell'orchestra suonare con tale luminosità, precisione e sensibilità (tanto da scoprire quanto, in Romeo e Giulietta, contino i colori prima ancora che le figure melodiche, per resuscitare tutto quel mondo, resuscitarlo fino all'estremo di far riudire – miracolo - il fruscio della veste di Giulietta che è chiaro, se si dovessero salvare cinque rumori dal silenzio terminale di una qualche apocalisse, uno dei cinque sarebbe, certo, il fruscio della veste di Giulietta). Seconda sensazione: Delman dirige Cajkovskij come se nessuno, prima, l'avesse ancor ascoltato: prima della catastrofe del suo successo, prima della sua sistematica e progressiva mutazione in jingle per vendere lacrime, in colonna sonora di romanticismi d'accatto, in lubrificante per gratuite commozioni. 

Ci deve pur esser stato un istante
in cui la musica di Cajkovskij è stata eleganza innocente, 
autentico scivolamento dei sentimenti, nobile danza di commiato ... 
Delman mette in scena quell'istante. Immagino che riesca ad ottenere 
simile magia grazie alla somma di tanti istintivi e sapienti gesti interpretativi:
 dalla scelta dei tempi (poco rigida ma mai manierista), 
alla cura nel cesello del particolare, alla certosina creazione di un "suono" particolare.

Ma sento di poter spiegare consapevolmente solo uno dei suoi trucchi: il modo in cui porge le più ritrite folate melodiche ciajkovskijane. A loro si appoggiano, i direttori mediocri, concedendole senza pudore alla fame del pubblico e guadagnandosi così facili entusiasmi. Delman, lui, le nasconde. O meglio fa qualcosa di ancora più sottile, che occorre spiegare. C'è, soprattutto nel Cajkovskij della Sinfonia, una rudimentale dialettica che tiene insieme il tutto: il respiro perfetto e compiuto dei grandi gesti melodici e il tentennante logorio strumentale che le prepara, le attende, le annuncia. Secondo una logica tanto ovvia quanto difficilmente contestabile, la maggior parte degli interpreti fa cadere il baricentro del discorso musicale (e quindi dell’emozione) sul momento “forte” dell’esecuzione melodica facendo regredire tutto il resto a materiale gregario e subordinato. Delman capovolge questo rapporto. Carica di intensità e di vitalità teatrale tutto il materiale sonoro che di solito è considerato come interlocutorio, lo trasforma in un ragionato edificio di frammenti e lo presenta come il massimo sforzo creativo della composizione: quei lunghi di frizione tra l’immaginazione e la realtà del materiale sonoro diventano il gesto “forte” del discorso ciajkovskijano, il luogo in cui esso produce l’immagine di un mondo: disperso eppur non sconfitto, lacerato ma ancora sempre coerente, impotente eppur attaccato con feroce ostinazione ai frammenti del proprio desiderio. Nell’elaborazione di quel mondo, la macchina orchestrale compie il massimo dello sforzo, gira al massimo della sua potenza: e in quella performance cristallizza il nocciolo dell’alchimia cajkovskijana. E a quel punto potrebbe anche non esserci più null’altro che conta, c’è già tutto. Ma una cosa succede: che al culmine della sua fatica, quando finalmente stringe ciò che cerca, l’orchestra di Delman smette di suonare, si lascia andare in folle, ammaina le vele e si concede alla corrente: e lì, come il silenzioso scivolare oltre il traguardo di una barca che ha ormai vinto, arrivano da lontano le mitiche irresistibili folate melodiche del Čajkovskij più amato. Arrivano da sé come se evaporassero dallo sfinimento dell’orchestra, leggere e commoventi come lettere arrivate dopo la morte di chi le ha scritte, nobili come medaglie alla memoria.
Quando a dirigere sono altri, si impennano come volitivi e solenni trionfi sonori, Le dirige Delman e sono note in discesa, musica che reclina il capo e sottovoce lascia scivolare segreti scaduti.
Alcuni di questi ricordi sono estratti dal libro "Vladimir Delman ...con il cuore in gola" a cura di Nicola Pirrone (Edizioni Pendragon, 2017)

Pasquale Guadagnolo

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