Ma è interessante comprendere cosa pensasse Fellini di Rota proprio a partire dalle sue parole. “La prima volta che andai a casa sua mi presentò la sua mamma (e subito dopo il suo pianoforte). Si è seduto, io confusamente gli parlai del fatto che desiderassi avere le sue musiche per
Lo sceicco bianco, e che avrei voluto dei titoli che evocassero l’atmosfera un po’ straccionesca e gloriosa del circo. Mentre parlavo, Nino stava già suonando quello che sarebbe diventato il tema della colonna sonora. E da quella prima nota, da quella prima frase la cosa è continuata con un flusso continuo, inarrestabile, al punto che con lui mi sembra di lavorare sempre allo stesso film. Nino ha questo di straordinario: che ti dà la sensazione che la musica la stia facendo tu, tanto è intonata, tanto così immediatamente corrispondente alla mia idea.”
Questo dice molto del rapporto di Fellini con la musica, un’arte in cui il grande regista intravede “un aspetto quasi ammonitore, che, con le sue leggi perfette e sottili, sembra alludere a un regno di perfezione che è irraggiungibile.” Un universo di cui il suo
alter ego musicale, Rota, fa parte perfettamente, ma a cui il regista non può aderire completamente. “Avverto qualcosa di moralistico nella musica. Io voglio essere imperfetto, sgangherato, come un cane che va ad annusare i cartocci a destra e sinistra. Ma rimango ammirato e sgomento quando vedo Nino che abita in questa galassia perfetta.”
disegno di Federico Fellini, caricatura con Nino Rota (1980)