Maurice Ravel ha scritto decine di pagine di ineguagliabile fattura. Ma ce n’è una, il Boléro, che lo ha reso universalmente noto. Decine sono stati gli omaggi musicali a questo monumento di aggregazione timbrica, vero e proprio castello sonoro che si costruisce di fronte alle orecchie di chi ascolta, che da un rullante in pianissimo arriva a un’orchestra intera in fortissimo, crescendo di un decibel alla volta, facendo innamorare di una pulsazione ritmica (ripetuta 169 volte), e di due temi facili e perfetti, proposti in tutte le loro combinazioni timbriche. Una pagina sinfonica che è giunta in territori apparentemente lontani diventando protagonista di una cover reggae di Frank Zappa e di una composizione rock di Jeff Beck, senza contare le innumerevoli versioni elettroniche. Di Ravel, oltre al Boléro, viene proposta Alborada del gracioso, i due splendidi Concerti per pianoforte e orchestra (quello in Sol maggiore e quello in Re maggiore, scritto per la sola mano sinistra poiché dedicato a un pianista che in guerra rimase mutilato della mano destra) e, appunto, Boléro, nelle cui iterazioni e trasformazioni continue sono stati indicati, talvolta, i principi costruttivi della minimal music, e il cui processo di accrescimento strumentale, realizzato da Ravel con infallibile razionalità, si rivolge ai sensi di chi ascolta, a una ricezione non razionale.