Così scriveva all’amico Gregor Richard Strauss il febbraio del 1945 poco prima di concludere la partitura di Metamorphosen, dedicata al direttore Paul Sacher. Un lavoro che porta con sé la grande ferita interna di un uomo che guarda intorno a sé il proprio mondo che crolla, così come avrebbe fatto qualche decennio più tardi Šostakóvič nello scrivere il Quartetto n. 8 op. 110 avendo nella memoria la distruzione di Dresda.
La sorprendente novità dell'organico (che evoca un complesso barocco), 10 violini, 5 viole, 5 violoncelli, 3 contrabbassi, non nasconde un'amplificazione del quartetto d'archi, ordinandosi invece per responsabilità solistiche di ogni strumento o piccoli gruppi di strumenti.
Il titolo misterioso allude forse alle riflessioni di Goethe maturo sulle metamorfosi della natura, ricorda gli amati miti classici, e tenta di stringere forse, una speranza nell'afflizione e nel congedo.