A venticinque anni dalla prima e memorabile esecuzione del
Requiem di Verdi diretta da Riccardo Chailly, con il Coro Sinfonico preparato dal suo fondatore, Romano Gandolfi, la compagine torna a confrontarsi con una delle pagine che più la identificano. Alla vigilia di questo nuovo appuntamento, Massimo Fiocchi Malaspina – Maestro del Coro dal 2022 – ripercorre il proprio lavoro con l’ensemble che dal 2025 è stato al centro di un articolato progetto di rafforzamento e valorizzazione, pensato per consolidarne l’eccellenza e orientarne l’attività verso traguardi artistici ancora più alti. In questa breve intervista, il maestro offre uno sguardo dall’interno su come si custodisce e si rinnova una tradizione interpretativa così viva.
Nella Stagione 2025/26 dell’Orchestra Sinfonica di Milano il Coro Sinfonico affronta pagine molto diverse: dal Requiem di Verdi al Messiah di Händel – rientrato nel repertorio della compagine nel 2024, dopo molti anni – dalla Nona sinfonia di Beethoven al Deutsches Requiem di Brahms. Che caratteristiche deve avere un coro per affrontare repertori così differenti?La Stagione di quest’anno coinvolge il coro in lavori molto diversi per epoca, linguaggio e stile, e per questo la compagine deve essere estremamente duttile.
L’organico viene adattato a seconda della partitura, mentre nelle sessioni di studio si ricercano i colori più adatti a ogni pagina.
A ciascun artista del coro è richiesto di saper variare peso e colore della voce in funzione dello stile, possedere doti di agilità – basti pensare al Messiah, dove la scrittura è spesso virtuosistica – e un solido bagaglio di prassi esecutive e di competenze linguistiche, come nel canto in tedesco richiesto dalla Nona sinfonia di Beethoven o dal Requiem Tedesco di Brahms.
Allo stesso tempo, ogni brano mette in risalto aspetti specifici su cui lavorare: la grande varietà di colori del Requiem di Verdi, l’attacco del suono più nitido e la precisione ritmica necessari in Händel e Mozart. Il risultato è un lavoro sempre modulato e calibrato, pensato per potenziare ciò che ogni pagina richiede.
L’Orchestra Sinfonica di Milano ha ricevuto nuovo impulso con la nomina del M° Tjeknavorian a Direttore Musicale. Come avete lavorato insieme? Quali sfide pone al coro?
La sua presenza e il suo lavoro sono una fortuna enorme. Poter collaborare con lui su alcuni programmi è un vero dono, e credo che questo sentimento sia condiviso da orchestra, coro e pubblico. Il M° Tjeknavorian porta una grandissima ricchezza di spunti e idee sempre musicalmente interessanti, frutto di un talento che sa trarre il massimo dalle persone con cui lavora.
Dall’altra parte, di fronte a un talento così straordinario, servono la massima attenzione e il massimo impegno per restituire tutto ciò che chiede in termini di colore, intenzione e vitalità di ogni battuta. Sono necessari uno studio approfondito e un’energia costante in tutte le sessioni di prova. Ma il risultato ripaga ampiamente del lavoro svolto.
Ci racconta un ricordo o un momento particolarmente significativo della sua esperienza con il Coro Sinfonico di Milano?
Ho moltissimi ricordi, pur essendo arrivato solo nel 2022. Se dovessi sceglierne uno, penserei al Requiem di Verdi al Concertgebouw di Amsterdam, uno dei templi della musica europea, con la direzione del M° Claus Peter Flor. Come è noto, durante l’esecuzione, prima del “Mors stupebit” intonato dal basso, un ragazzo seduto tra il pubblico si alzò urlando frasi in olandese, creando un gelo improvviso in sala. In pochi secondi – che per noi durarono un’eternità – capimmo che si trattava di una protesta contro i cambiamenti climatici. Da lì in avanti, però, la carica emotiva si amplificò ancora di più, e cantammo liberi da ogni timore. Mi fa sorridere pensare che quei ragazzi avessero studiato la partitura per intervenire proprio nella lunga pausa prima del “Mors stupebit”, così da dare il massimo risalto al loro messaggio!

Claus Peter Flor dirige Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano nel Requiem di Verdi
al Concertgebow di Amsterdam per la tournée del 2022 - foto Angelica Concari

Il Maestro Massimo Fiocchi Malaspina - foto Lorenza Daverio
Arvo Pärt ha raccontato di aver iniziato a comporre per coro dopo aver ascoltato l’Hilliard Ensemble, un’esperienza che lo commosse fino alle lacrime: “Non avrei saputo dire dove mi trovavo, se in cielo o qui sulla terra. Fu uno shock”. Le è mai capitato qualcosa di simile, come direttore o ascoltatore? E quale brano suggerirebbe a chi cerca un’esperienza capace di “cambiare la vita”?
Provo una certa invidia per Pärt, per la sua capacità di definire un istante in poche parole una percezione dell’assoluto così nitida, laica ed ecumenica. Il lavoro con un coro, con tante persone che cercano un’affinità totale di intenzioni, può raggiungere esiti altissimi, e nella mia esperienza come maestro del coro ho la sensazione di aver percepito qualcosa di analogo in diverse sessioni di prova.
Non so se saprei suggerire un solo brano a chi non è abituato al repertorio sinfonico-corale. Certo, il Requiem di Verdi può essere un inizio scioccante! Per chi conosce già il repertorio, penso al War Requiem di Britten o all’Œdipus Rex di Stravinskij, che abbiamo eseguito di recente in Auditorium. Guardando al repertorio antico, certamente il Magnificat di Bach, un brano a cui sono molto legato.
Le chiediamo una parola per ciascuna delle seguenti pagine in cui il coro ha un ruolo fondamentale.
Monteverdi, Vespro della Beata Vergine: Solenne.
Haydn, Die Schöpfung: Luminosa.
Mozart, Ave verum corpus: Consolatorio.
Beethoven, Missa Solemnis: Vitale.
Mendelssohn, Sinfonia n. 2 Lobgesang: Pura.
Fauré, Requiem: Sereno.
Schönberg, Gurre-Lieder: Vertiginosi.
Mahler, Sinfonia n. 2 Resurrezione: Apoteosi.
Ligeti, Lux Æterna: Straniante.

Il Coro Sinfonico di Milano durante il concerto presso la Chiesa di San Giovanni Battista alla Creta
Festival Mito 2025
foto Lorenza Daverioi
Un altro grande maestro, John Rutter, ha scritto che cantare insieme è “un modo per esprimere, in termini simbolici, cosa significa quando gli esseri umani sono in armonia. È una lezione per il nostro tempo e per tutti i tempi”. Che cosa ne pensa?
Le parole di Rutter sono di una verità e di una limpidezza che, nella loro semplicità, potrebbero sembrare scontate, ma non lo sono affatto. Descrivono in modo straordinario ciò che accade quando si fa musica insieme. Ed è bene ricordarlo a chi fa della musica la propria vita. A volte accade che questo messaggio emerga con ancora più forza da chi fa musica per passione: si percepisce la necessità, l’urgenza di vivere questa esperienza di condivisione, di simultaneità di respiro e di intenzioni. È qualcosa che la vita spesso nasconde, maschera o addirittura distorce. Fare musica insieme insegna un modo diverso di stare al mondo, sia nella sfera più vicina a ciascuno di noi sia, idealmente, a livello globale.