Abbiamo incontrato Martina Carpi, figlia del compositore, per una chiacchierata intorno alla figura di un grande compositore purtroppo poco frequentato dalle programmazioni dei teatri o delle sale da concerto.
È innegabile che nel secondo dopoguerra si crea una sorta di gruppo, che in un concerto all’Angelicum viene chiamato “Giovane Scuola”. Suo padre, Fiorenzo Carpi, come ha vissuto questa sinergia con Ennio Gerelli, Roberto Lupi e Gino Negri? E inoltre, come si era creato il gruppo?Mio padre Fiorenzo era molto giovane nel secondo dopoguerra (aveva 27 anni nel 1945), ma certamente questo periodo di formazione è stato molto importante. Per tutta la sua vita è stato unito da un grande legame d’amicizia a Gino Negri.
In quell’epoca, la formazione mirava ad aprire le menti e a dare i mezzi per poter fare cose diverse. Credo che mio padre abbia conservato per tutta la vita questa lezione. Questo viene confermato dal modo in cui è stato raccontato: un grande musicista colto, ma allo stesso tempo capace di interagire abilmente con le contaminazioni, in un periodo storico in cui c’era una divisione tra musica pura e altri generi.
Che tipo di rapporto esisteva con Gino Negri, altro compositore importante di quella generazione?Erano molto amici, erano financo compagni di scuola al liceo. Mio padre era molto pigro e ha sempre avuto amicizie con persone, al suo opposto, molto dinamiche, come per esempio Negri per l’appunto, Giorgio Strehler, Dario Fo.
Mi è rimasta molto impressa la definizione che Lei dà di suo padre come un “musicista di lievità profonda”, qualcosa che ho sentito molto vicina a certe caratteristiche di Gino Negri e Nino Rota. Certamente è vero. Tutti questi nomi fanno parte di una scuola musicale nata dopo il terribile periodo del Fascismo, conseguenza di quella straordinaria rinascita musicale e culturale avvenuta a Milano. Carpi, Negri e Rota sono tre artisti che hanno aderito alla possibilità di contaminazione musicale. Mio padre per esempio ha studiato a lungo le musiche popolari, un tema a cui aveva contribuito con le sue ricerche Roberto Leydi.
Immagino che parlando di canzoni popolari Lei faccia riferimento anche alle “canzoni della mala”.Certamente, negli anni Cinquanta e Sessanta si sviluppa un grande desiderio di rinascita per la canzone d’autore (si pensi in Francia a Brassens, o in Italia a I Gufi). C’era la necessità di studiare la cultura popolare al fine di pensare a un genere per un pubblico non intellettuale.
Non avendo trovato musiche popolari che lo soddisfacessero, l’idea di Strehler di creare per Ornella Vanoni le
canzoni della mala chiedendo a mio padre e a Gino Negri e a Dario Fo di scrivere queste canzoni è geniale.
Che rapporto aveva Fiorenzo Carpi con Giorgio Strehler?
Strehler è stato il suo più grande amico “artistico”. Strehler aveva una grande musicalità (
NdR che si può percepire nei suoi spettacoli, non solo di opera lirica) e chiese a mio padre di scrivere le musiche di quasi tutti i suoi spettacoli (unica pausa nel ’68). Inoltre erano molto amici, non nel senso più banale della parola ma in quello più vero: in quegli anni l’amicizia aveva una forte dimensione di stima. Si stimolavano intellettualmente a vicenda (Strehler una volta disse a Carpi: “certe volte la tua musica, Fiorenzo, mi ha aiuto a individuare un punto che io non avevo chiaro”).
Secondo Lei quale spettacolo, nato dalla loro collaborazione, più di altri, mostra una connessione tra musica e scena più intensa?Nel “loro” mondo sonoro c’è stata un’evoluzione. Ci sono stati dei meravigliosi spettacoli nati nei primi anni, penso per esempio al celebre
Arlecchino da Goldoni,
Le baruffe chiozzotte,
Il Campiello, ma anche
El nost Milan. In seguito, il loro linguaggio si è evoluto, come si può vedere nella
Tempesta da Shakespeare. In quest’ultimo lavoro c’è una raffinatezza, una ricercatezza di suono incredibile.
Come si era sviluppato invece il rapporto con Comencini?
Per il cinema, forse il rapporto con Comencini è stato quello più importante. Come mio padre, anche il regista aveva una grande visione dell’umanità anche attraverso l’infanzia in modalità non retorica. Era in grado di raccontare i bambini dall’anima.
Pinocchio rimane uno dei grandi successi del mondo televisivo. Qual è l’elemento che ha catturato l’attenzione?
Secondo me è il più bel
Pinocchio mai stato fatto, con temi musicali … sono musiche che partono da dentro, corrispondono a qualcosa che c’è in ognuno di noi.