Dmitrij Šostakovič, nel corso della sua vita, è riuscito ad incarnare due personaggi straordinariamente contrastanti fra loro: da un lato lo Šostakovič pubblico, l’uomo che navigava sempre nelle acque infide della vita sotto Stalin e, dall’altro, lo Šostakovič privato, una sorta di figura tragica, allo stesso tempo intimidito e ribelle. Pochi lavori nella sua produzione svelano bene questa doppia vita come la Sinfonia n. 7 Leningrado. Essa è pieno di equivoci, che ci mostra il compositore russo come un funambolo che cammina sulla linea sottile tra le aspettative del pubblico e i suoi sentimenti privati.
La Leningrado è un’opera di guerra. I tedeschi invasero la Russia il 22 giugno 1941 e, alla fine di luglio, Leningrado fu completamente circondata. L’assedio durò circa 900 giorni, durante i quali morirono all’incirca un milione di abitanti della città, gran parte di quest’ultima stessa fu ridotta in macerie e le condizioni di vita per coloro che non morirono furono spaventose. Šostakovič compose i primi tre movimenti durante l’estate del 1941 nel bel mezzo della città assediata. Lui e la sua famiglia furono evacuati in autunno per trasferirsi il 27 dicembre di quell’anno a Kuibyshev, la capitale provvisoria russa, dove l’opera venne completata; il lavoro fu presentato in anteprima il 5 marzo 1942.
I commenti ufficiali di Šostakovič sulla Sinfonia furono registrati durante la trasmissione della prima esecuzione: per il genio russo la Sinfonia n. 7 è una composizione dal senso ottimistico.