Nulla, a prima vista. Forse si possono indicare circostanze cronologiche che segnerebbero tra essi una proporzionalità. Beethoven ha 42 anni quando termina la Settima, ma nel quindicennio che gli resta darà vita alle opere e più complesse e più alte. Strauss ne conta 33 quando compone il Quixote, ma da diciottenne in poi si è rivelato autore di musiche altissime. Sono segni di proporzioni nascoste e sorprendenti corrispondenze.
Il primo ascolto delle due composizioni affiancate deve indicare all’ascoltatore la fondamentale inversione, tra la sinfonia beethoveniana e la “symphonische Dichtung” di Strauss, di due caratteri archetipici: l’apollineo tragico e il mercuriale edonistico e occasionalmente comico. La Settima è una sinfonia dalla partenza luminosa e aerea, quasi orgiastica nel Finale, ma al suo centro il meraviglioso Allegretto, è uno scenario bronzeo, crepuscolare, eroico, assertore della “permanenza” contro la "apoteosi della danza” proclamata da Wagner. All’inverso, nel Quixote il tono eroico e il registro “ingenuamente” sublime offrono, al centro, movimentati episodi caricaturali, a modo loro sublimi.