Lo stomaco è il direttore che dirige la grande orchestra delle nostre passioni”
Parigi, 1823. Rossini diventa amico del cuoco personale dei Rotschild, Marie-Antoine Carême, creando un rapporto di scambio estremamente intenso. Rossini arriva addirittura a smettere di comporre per trascrivere e modificare le ricette dello Chef. Rossini ha profondo rispetto per i ristoranti dove mangia. Saluta tutto il personale di sala e entra nelle cucine per parlare con gli chef e chiedere modifiche ai piatti. Da qui nasce il mito del Filetto alla Rossini : il pesarese richiede alla cucina una variazione al tartufo per il suo filetto. La risposta è lapidaria: non se ne parla.
A questo rifiuto, Rossini sposta di peso lo chef dicendo Alors, tournez le dos! , letteralmente Fatevi da parte . A questa leggenda si fa risalire il nome della suprema esagerazione, chiamata appunto Tournedos Rossini : un filetto di manzo (tournedos è una fetta di carne ricavata dalla parte centrale del filetto) cotto nel burro, accompagnato da foie gras fresco e aromatizzato con tartufo nero e Madeira.
È proprio vero. Lo stomaco è il “grande direttore d’orchestra delle passioni”.
Per questo, probabilmente, in quei dieci anni in cui, dal 1830 al 1840, Rossini scrive lo Stabat Mater , deve aver mangiato particolarmente bene.
La devozione rossiniana risulta ricca, appetitosa, armonicamente piena di lampi straordinari.
È una religiosità che non rinuncia al piacere della vita, ma che anzi da quest’ultimo trae la sua forza.
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Parla attraverso la bellezza, ma rappresenta anche una meditazione sul dolore, sull'amore e sulla possibilità di trovare un senso alla sofferenza. L'istinto drammatico di Rossini non banalizza il testo sacro, bensì lo illumina. Il dolore della Vergine diventa uno specchio in cui vediamo le nostre perdite, il nostro desiderio di trascendenza. Ciò che mi commuove di più è come questo lavoro riesca ad essere sia emotivamente immediato che spiritualmente risonante. Non cerca di spiegare la sofferenza, ma di nobilitarla, di trasformarla in suono che consola, eleva e infine purifica. Dirigerlo significa entrare in dialogo: con la musica, con la tradizione, con le domande silenziose del cuore