A una cosa dobbiamo la vita sulla Terra: alla fotosintesi clorofilliana. E’ semplice: le piante traggono sali minerali dalla terra e anidride carbonica dall’aria, e attraverso un misterioso processo alchemico sprigionano l’ossigeno nell’aria. È semplice.
Semplice come la scrittura di Beethoven nella Sinfonia n. 6, la Pastorale, uno degli esempi più compiuti dell’arte occidentale, in cui le ferree regole compositive ci sono, e ben presenti, ma noi non le sentiamo. Come il bellissimo tema discendente della “Scena lungo il ruscello” del secondo movimento, o del “Canto pastorale” del quarto movimento. Dove della natura viene resa la facilità con cui fa accadere senza sforzo anche il processo più complesso che possa esistere. Dalla scissione della molecola alla rifrazione della luce, che da bianca diventa di tutti i colori, fino, appunto, alla fotosintesi. Un processo che se ci pensiamo per un istante ci fa tremare le gambe, di quanto poco sarebbe bastato perché qualcosa diventasse leggermente diverso da com’è, e tutto questo in cui viviamo non sarebbe mai accaduto, così incredibilmente meraviglioso. È il sublime, il sentirsi minuscoli di fronte alla magnificenza della natura, perfetta, delicata, generosa.
Come la Pastorale di Beethoven, in cui sposti una nota e (forse) viene giù tutto.