Il cinema di Fellini non avrebbe il potere di incanto che ancora oggi esercita su tutti noi senza le partiture composte per i suoi film prima da Nino Rota e poi da Nicola Piovani.
Dalle ‘fanfare’ trascinanti di Lo sceicco bianco alle melodie malinconiche de I Vitelloni fino alla pulsante ondosità della Dolce Vita, per non parlare delle struggenti note di Ginger e Fred e di La voce della luna, è la musica che contribuisce a inverare - di volta in volta - il credo felliniano secondo cui "l'unico vero realista è il visionario".
Nino Rota
Danzando nella nebbia da Amarcord
La Poupée automate da Il Casanova
I 3 suonatori e il Matto sul filo da La Strada
Ma la vita continua da Le Notti di Cabiria
Lo struscio da Amarcord
Solitudine e pianto di Zampanò da La Strada
Parlami di me da La Dolce vita
Titoli da La Dolce vita
Il Défilé ecclesiastico da Roma
Passerella d’addio da Otto e 1/2
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Come funziona il binomio Fellini-Rota ovvero una delle coppie artistiche più celebrate nell’ambito della storia del cinema? Forse si potrebbe pensare a certe coppie comiche tipo Jack Lemmon e Walter Matthau: lasciamo a voi immaginare chi dei due fosse Walter Matthau, visto che abbiamo un esuberante estroverso e un timido stralunato che lo subisce (o è il primo che subisce il secondo?). Però, a fronte di tante autorappresentazioni – perché di fatto sia l’uno che l’altro “strumentalizzano” il binomio per autorappresentarsi – ricche di aneddoti esilaranti, se riuscissimo ad andare oltre al dato biografico cercando di privilegiare un rapporto più diretto con le rispettive poetiche (filmica e musicale), ci accorgeremmo che si tratta di due poetiche che hanno alcuni elementi fondamentali in comune. Rota, oltre ad essere stato un compositore direi compulsivo e uno dei più prolifici autori di musica cinematografica (solo Morricone ha composto più film di Rota ma è vissuto molto più a lungo), ha continuato, come peraltro Morricone, a coltivare anche la cosiddetta “musica pura”, toccando tutti i generi musicali, dopo essere stato pure un enfant prodige. Rota è nato nel 1911 e ha cominciato a comporre nei primi anni ’20, quindi, pur essendo morto relativamente giovane (nel 1979), ha avuto una carriera artistica lunghissima che attraversa varie stagioni della storia della musica del Novecento. Se si raffrontano le due poetiche, quella felliniana e quella rotiana, c’è un elemento in comune così macroscopico che c’è da stupirsi – forse siamo stati sviati dalla rappresentazione o autorappresentazione delle loro maschere contrapposte – che non sia stato còlto. Si tratta infatti di un trait-d'union fondamentale del loro sodalizio artistico. Questo elemento è il concepire l’atto creativo come un opus continuum, cioè come un flusso che non si arresta se non per tappe (che sarebbero le opere), ma il cui segreto, il cui significato non è nel cristallizzarsi di un opus ma nel continuare del flusso. Bisogna lasciarsi trasportare da questo flusso erratico, che non si sa bene da dove venga né esattamente dove porti. Fellini, nell’ultima puntata del programma radiofonico Voi ed io (Radiouno, 24 novembre 1977), tutto dedicato a Nino Rota, dice del suo primo incontro con il compositore che «da quel momento, da quella prima nota, da quella prima frase, la cosa è continuata con un flusso continuo, con un flusso inarrestabile, al punto che mi sembra sempre... sempre che sia lo stesso film: io non ho la sensazione di aver fatto tanti film; mi pare che da quel primo giorno…».